Thalassa. Meraviglie sommerse del Mediterraneo

Dal 5 dicembre 2019 al 9 Marzo 2020 a Napoli, presso il M.A.N.N. (Museo Archeologico Nazionale di (Napoli), sarà possibile visitare “Thalassa. Meraviglie sommerse del Mediterraneo”, una mostra interamente dedicata all’archeologia subacquea.

Saranno visibili opere e manufatti davvero unici a testimonianza di quanto l’uomo abbia manifestato, sin da antichissima età, l’esigenza di vivere uno stretto rapporto con il mare e con il Mediterraneo. Fernand Braudel, difatti, nel suo celeberrimo libro sul “mare chiuso”, metteva in evidenza quanto il Mediterraneo fosse uno e “Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre.”

Tracciate come in una unica rotta marina, tale rassegna viene congiuntamente promossa con le sue “gemelle”, ovvero “Poseidonia. Città d’acqua” organizzata dal Parco Archeologico di Paestum, e “I pionieri dell’archeologia subacquea nell’area flegrea e in Sicilia” che si struttura presso il Parco Archeologico dei Campi Flegrei, il quale ospiterà il percorso espositivo.

Per visitare Thalassa invece l’accesso avviene, varcando virtualmente le colonne d’Ercole, nel salone della Meridiana del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove, al centro della sala, campeggia il bianco Atlante Farnese. In maniera immaginaria e in caleidoscopico modo (una serie di pannelli riflettenti permettono una visione a 360° visibile da un solo punto) quell’antico marmo d’epoca ellenistica (databile al II secolo d.C.) attira nuovamente a se, con le sue celesti costellazioni, quelle antiche memorie. Vestigia trasportate per mare in tempi a noi lontanissimi, dove occhi umani, gli occhi dei naviganti, pur osservando Orione, le Pleiadi, le due Orse, o Boote, probabilmente, non videro mai terra.

Un’esposizione davvero particolare che porta all’attenzione e permette la visione di oltre 400 reperti grazie al contributo dato da quell’innovativo processo di trasformazione e d’approccio con metodo scientifico, di cui fu promotore Nino Lamboglia, nei primissimi anni 50, e che permise la nascita della disciplina dell’archeologia subacquea. Una moltitudine di reperti questa volta interpretati seguendo un insolito “profilo inverso”, per dirla alla subacquea maniera:
il Mediterraneo compreso dal mare verso la costa e non letto e interpretato dalla costa verso il mare.

Quanto le idrovie siano state da sempre vitali e importanti, e per diversi secoli le sole veramente percorribili per le lunghe distanze, lo testimonia ancora la loro considerazione in epoca romana. “Navigare necesse est, vivere non est necesse” affermava con irremovibilità Gneo Pompeo Magno.
La tempesta che intimoriva i suoi marinai, che non volevano affrontare i perigli della navigazione per trasportare il grano delle provincie romane all’Urbe, minava la sopravvivenza stessa di Roma. Ma il bisogno che quel grano raggiungesse necessariamente l’italica costa poneva in seconda linea la salvaguardia della propria esistenza.
Che la coscienza del pericolo del mare sia ben risaputa sin da tempi immemori, lo rammenta perfettamente il famoso Cratere Con Naufragio (esposto per la prima volta in assoluto) proveniente dall’antica Pithekoussai (il nome greco dell’odierna isola d’Ischia). Sul cratere ischitano, (risalente all’VIII sec. a. C.) sotto alla grande nave capovolta il ceramografo ha dipinto tragedie: marinai che cercano scampo nuotando tra il distrutto fasciame e pesci, mentre uno di loro è già finito con la testa nelle fauci di un grosso animale.

E se non bastava il mare, era l’uomo stesso apportatore di pericoli. La letteratura antica menziona diffusamente azioni piratesche, di rappresaglia e di morte per i poveri sventurati in mare (cfr. Omero, Esiodo, Archiloco, Tucidide). Dal tempo della tallassocrazia cretese e per tutto l’arcaismo la pirateria assunse valenze quasi di legittimità, in epoca romana sarà invece giuridicamente condannata da Cicerone e militarmente avversata da Pompeo, cosi come legittimo diveniva l’atto di difesa anche per i trasporti mercantili. Quindi non c’è da stupirsi se nei relitti dei navigli commerciali sono stati ritrovati più volte armamenti, come l’Elmo esibito e proveniente dal famoso relitto romano di Albenga (Savona) risalente a I sec. a. C. o le Ghiande Missili recuperate dal relitto di Mal di Ventre, Cabras (Oristano) risalente al II sec. a. C. ed esposte nella mostra. Piccoli oggetti, in questo caso in piombo, dalla forma ovoidale che, come veri e propri proiettili venivano scagliati (spesso incisi da invettive verso il nemico, come un insolito mezzo di comunicazione e propaganda).

Nonostante ciò in antichità, con gli scambi commerciali e sulle navi non viaggiarono solo mercanzie ma anche uomini, idee, conoscenza, professioni, tecnologie. Il Museo Archeologico di Atene partecipa alla mostra del M.A.N.N. con i reperti restituiti dall’importane relitto della nave romana di Antikythera, (risalente al I sec. a. C.): oggetti in oro, argento, coppe di vetro, statue in bronzo e in marmo, anfore, monete, e persino un teschio, denti e ossa di un uomo perito nel naufragio.
Dall’antico relitto venne recuperato anche il c.d. Meccanismo di Antikythera: un vero e sorprendente esempio di “alta tecnologia” del passato. E’ visibile soltanto in una precisa ricostruzione in 3D. Una simulazione comunque fedele che permette al visitatore di comprendere la finalità delle circa 82 componenti in bronzo che lo costituiscono.

Solo un complesso lavoro di restauro e soprattutto di studio, (ancora aperta rimane la discussione e il confronto con l’unico oggetto sin ora rapportabile al Meccanismo di Antikytera e più antico di circa due secoli: il c.d. Planetario di Archimede, ritrovato ad Olbia) ha permesso di decifrare che si trattava, comunque, di un articolato congegno per riprodurre le fasi lunari, i moti del Sole e della Luna fra le costellazioni dello zodiaco. Frutto di una attenta osservazione dei pianeti (solo cinque allora visibili a occhio nudo) e dei moti astrali, probabilmente derivante già dagli studi dell’astronomo Aristarco da Samo (IV sec. a. C.) prima ancora, quindi, del pensiero geocentrico di Ipparco da Nicea (II sec. a. C.) e dei sistemi tolemaico e copernicano.

C’è davvero molto da vedere visitando “Thalassa”, molto altro potrebbe essere scritto, e molto altro ancora essere citato. Sono ben 9 le sezioni in cui si articola la mostra, ricchissima di spunti che continuamente attirano l’attenzione del visitatore. Davvero sentita e importante è stata la partecipazione delle Istituzioni, Soprintendenze, Enti museali italiani e stranieri oltre al contributo scientifico offerto da varie Università.
Questo è stato reso possibile grazie all’impegno profuso dal compianto prof. Sebastiano Tusa (cui la mostra rende omaggio) dalla collaborazione con l’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione Siciliana.

Mancano poco più di due mesi al 9 marzo 2020 e, se si ha voglia di un “immersione” nella storia che odora di salmastro, Il M.A.N.N. potrebbe essere davvero il luogo giusto.

Pensateci.