Il sangue di medusa

Solo l’epica narrazione della sua origine sembra voler surclassare la bellezza del corallo rosso. Ricercato fin dagli albori della subacquea per lo scheletro rosso fuoco e lavorato dalle mani di esperti artigiani per ottenere monili di rara spettacolarità; pescato fin dall’antichità, oggi preda dei pochi ultimi corallari, il corallo rosso è uno degli organismi simbolo del Mare Nostrum.

Secondo Ovidio fu generato dal sangue di Medusa, quando Perseo la decapitò alla fine del suo scontro vittorioso. La leggenda narra che il sangue scaturito dalla testa mozzata del mostro, mischiato con l’acqua si pietrificò, tingendosi di rosso rubino e divenendo duro come roccia, mentre i polipi bianchi nacquero dagli schizzi delle onde.

Il Corallium rubrum (Linnaeus, 1758) è un ottocorallo facente parte della famiglia dei Coralliidae, distribuito su un’ampia zona, dalla Grecia alla Tunisia fino a Gibilterra, poi in Corsica, Sardegna, Sicilia e Baleari; è presente anche in Atlantico, lungo le coste del Portogallo, isole Canarie, lungo il litorale del Marocco e presso le Isole di Capo Verde.

Può essere chiamato a ragione il “Principino viziato”, perché cresce solo su fondali caratterizzati da condizioni di vita particolari, ma soprattutto costanti: salinità compresa tra 28 e 40‰, ridotto idro-dinamismo e ambienti poco illuminati. Non sopporta elevati livelli di sedimenti in sospensione, tanto che, in alcuni luoghi con acque particolarmente trasparenti, si può trovare a partire da 15-20 m, mentre, generalmente, si incontra molto più in profondità, aggrappato a qualche scoglio o appeso a volte di grotta.

Il corallo nel mondo greco arcaico era usato al più grezzo nei santuari come offerta votiva, difficilmente veniva lavorato, almeno fino all’età ellenistica, e quindi rivestiva un’importanza relativamente marginale.

«[…] dov’è Perseo, che sciogliendo Andromeda, nuda allo scoglio marino, et havendo posato in terra la testa di Medusa, che uscendo sangue dal collo tagliato, et imbrattando l’acqua del mare, ne nascieva i coralli», cosi il Vasari descrisse il suo quadro Perseo e Andromeda.

Tuttavia dai vari trattati sappiamo che veniva sistematicamente raccolto, a volte usato in gioielleria, esportato e commercializzato, specialmente nel mondo fenicio-punico, celtico e nell’Italia meridionale, mentre pare assente presso il popolo Etrusco e in età imperiale romana. Lo scarso interesse dei Romani, in contrasto con le fonti dell’epoca che ne citano l’utilizzo per scopi medici e ornamentali, potrebbe essere dovuto ad una sua massiccia esportazione verso il mercato indiano, dove veniva usato come merce di scambio con le perle, prodotto più apprezzato dai romani.

Un importante contributo alla conoscenza della pesca e del commercio del corallo mediterraneo ci giunge da alcune scoperte nel campo dell’archeologia subacquea, che hanno rilevato la presenza di monili e rami di corallo su antiche navi naufragate. Ad esempio, il relitto del Sec a Maiorca ha restituito corallo «rosso e pulito» in un carico di origine fenicio-punica e si è trovato corallo anche su imbarcazioni grecoarcaiche affondate nel porto di Marsiglia.

Questi e altri ritrovamenti fanno pensare che il corallo presente sui relitti facesse parte delle derrate di scambio e commercio tra popoli Mediterranei e non sia semplice “contaminazione” ambientale. Inoltre alcuni studi di archeologia mettono in correlazione la pesca del corallo con lo sviluppo di stabilimenti per la pesca costiera e la lavorazione del pesce, attraverso tracce di corallo rinvenute negli interstizi dei pavimenti degli impianti.

Nonostante gli sforzi di ricerca rimane ancora incerta l’esatta determinazione dello strumento utilizzato dagli antichi per la pesca del corallo. Plinio parla di una sorta di tosatrice, un attrezzo di ferro, dal quale fa discendere il nome stesso del corallo (kourà = tagliare).

Inoltre alcune fonti, poi risultate non attendibili, avevano indotto a ritenere che gli antichi urinatores (i precursori dei moderni sommozzatori) raccogliessero direttamente corallo a bassa profondità o in grotte, ma testimonianze precise al riguardo non esistono (a proposito degli urinatores, Plinio narra che si immergevano con la bocca piena d’olio, che facevano fuoriuscire una volta sott’acqua in apnea per migliorare la visione).

La croce di S. Andrea, ovvero due travi lignee, legate ad un masso centrale e dotate di rampini, reti, e quant’altro atto ad estirpare il corallo, è stata usata in tempi successivi e quasi sino ai giorni nostri, sostituita poi dal cosiddetto “ingegno”, barra metallica introdotta al suo posto, per raggiungere una maggiore profondità di pesca.In tempi moderni, la pesca del Corallo rosso è stata particolarmente praticata in Italia, Francia, Spagna, Grecia, Tunisia, e, in maniera più ridotta, in Algeria e Croazia. I corallari raccoglievano l’oro rosso manualmente, immergendosi con gli autorespiratori e utilizzando piccozze chiamate “malepeggio”. Si stima che negli anni passati, nell’intero mediterraneo, fossero pescate 60 tonnellate di corallo ogni anno.

Nelle acque di tutto il mondo si conoscono circa 27 specie del genere Corallium, cinque di queste vivono in Atlantico, mentre quello propriamente definito corallo rosso rappresenta l’unica specie del Mediterraneo, che si distingue dalle specie atlantiche per la vistosa colorazione rossa, appunto. I polipi sono bianchi, lunghi solo pochi millimetri, con otto tentacoli; le colonie arborescenti, rigide e ben ramificate. Quando la colonia è attaccata i polipi si ritraggono dentro i calici e nel cenosarco. Le sclerite della “scorza” sono a simmetria radiale in forma di corti bastoncini ornati di verruche. La colorazione è rosso brillante, ma a volte può essere rosa, bianca, marrone ed eccezionalmente nera.

Può raggiungere una taglia di oltre 30 cm di altezza, ma la pesca intensiva ha ridotto fortemente le popolazioni di Corallo e la sua crescita. Il diametro della base può arrivare a 3 cm. Si riproduce in maniera ovipara o vivipara con larve. La biologia è condizionata da substrato e luce: vive infatti in luoghi sciafili, nascosti, in grotte semioscure, strapiombi e nelle fenditure delle rocce, a partire da circa 20-30 m.

Il corallo rosso, nell’immaginario comune del subacqueo sportivo, rimane un obiettivo fondamentale da vedere in immersione… visto una volta si prova un senso di appagamento che riscalda il cuore di chi ama andar sotto il mare. Un motivo in più per rispettare questo splendido animale, simbolo del Mare Nostrum e simbolo di antiche tradizioni e rituali.