Odissea Maldive

“Anche i dolori sono, dopo lungo tempo, una gioia per chi ricorda tutto ciò che ha passato e sopportato” (Omero).

Apro la porta in tarda serata con sensazioni contrastanti miste a gioia, per essere rientrato finalmente a casa, e rassegnazione, per dover fare altri quattordici giorni di quarantena, la terza. Il tempo di pesarmi sulla bilancia per constatare che in 45 giorni di viaggio ho perso dieci chili e in breve tempo mi ritrovo steso sul letto a ripensare a quello che ho passato in quest’ultima vacanza: un innocente ghigno modella la mia faccia ed esausto mi addormento.

Il 6 marzo, mentre sto per prendere il primo degli aerei che mi porterà alle Maldive, un messaggio della Farnesina indebolisce l’illusione di recarmi in ferie in un posto sicuro dal virus che sta flagellando il mio Paese. La tensione sale. Non so se riuscirò ad entrare in tempo perché, dalla mezzanotte del giorno dopo, ci sarà la chiusura totale agli italiani. In aereo ripenso a come ho trascorso le tragiche ferie di Natale: in casa tra lacrime e disperazione.
Durante una scalata invernale sul Monte Terminillo, a fine dicembre, ho perduto Davide, uno dei miei compagni di ascensione. Ho proprio bisogno di staccare la mente da quel ricordo che mi vede seguire metro dopo metro il suo tentativo di aggrapparsi alla vita mentre sta precipitando giù per un canalone innevato. Ho ancora impresso il momento di quando, trecento metri più in basso, raggiungo il suo corpo esanime e constato che ormai non c’è più nulla da fare…
Alla fine riesco ad imbarcarmi sul M/Y Island Safari 1 in gestione alla WhiteWaveMaldivese􀁢e la A cura di Nicola De Benedetti crocera subacquea comincia. Destinazione gli atolli di Suvadiva, Fuvahmulah e Addu. L’accoglienza del Team è meravigliosa. Con loro avevo già fatto esperienza con il giro “classico” quattro anni fa e mi ero trovato molto bene per la serietà, la professionalità ma soprattutto per la simpatia con cui svolgono l’attività.
I partecipanti a questa crociera, tutti italiani, sono clienti ritornati più volte e quindi il rapporto che si instaura tra di noi, con il Team che fa da trait d’union, è subito verace e allegro. Tra una pass e l’altra in superficie ci accompagnano quasi ogni giorno i delfini ed in immersione incontriamo torme di squali grigi, qualche martello, il volpe, le aquile di mare e perfino un enorme squalo balena. E poi la vita del reef con colori e paesaggi ancora poco contaminati.

Ma la vacanza perfetta viene interrotta il 12 marzo quando, sia io che Simone, il mio compagno di cabina, improvvisamente ci ritroviamo con 38 di febbre. Subito si decide per l’isolamento contenuto nella nostra stanza ed il giorno dopo vengono avvisate le autorità perché l’influenza non accenna a sparire.

Da Addu la barca si riporta a Nord ed a Fuvahmulah, il 14, ci vengono fatti i tamponi da una infermiera locale spaventatissima e tesissima. A sera tardi arrivano i risultati: entrambi siamo positivi al COVID19!!!
La IslandSafari1, scortata a tratti dalle polizie locali, comincia a risalire verso Suvadiva ed oltre. Ci sarà un incontro con una barca superveloce che ci verrà a prendere per portarci in una struttura predisposta nei dintorni di Male, la capitale. Intanto a bordo l’atmosfera è surreale. I partecipanti, che finita la settimana dovevano ripartire, vengono bloccati e destinati alla quarantena. Non potranno ritornare in Italia. Con mia grande sorpresa, invece di ostentare rabbia e maledizioni nei nostri confronti, manifestano parole di affetto e solidarietà dimostrando di essere intellettivi e comprensivi alla situazione.

Io e Simone, gli appestati, veniamo prelevati dalle autorità governative e, dopo sei ore e mezzo di sventolate su un motoscafo veloce, il 16 sera arriviamo a Huhlumale: siamo scaricati all’ex Club Med, una struttura fatiscente e totalmente inadatta a gestire i casi positivi al virus. Ci sono italiani, inglesi e tedeschi. Il “lazzareto” è aperto ai lati così la notte veniamo letteralmente divorati dalle zanzare. Sudo litri e litri durante il sonno. La febbre non accenna a diminuire, ho spesso freddo e cominciano a comparire i primi colpi di tosse. In gran segreto, la notte del 18 marzo spostano tutti i 12 ricoverati presenti e ci portano nell’isola di Velidhoo a Nord di Ari. Qui usufruiamo di un vecchio resort abbandonato e messo sotto sequestro dalla polizia ma almeno non siamo come prima in un unico stanzone, ci viene dato un alloggio a testa.

Simone, trentottenne, tredici anni più giovane di me, migliora. Docente ricercatore dell’Università Milano-Bicocca, stava sfruttando una settimana di ferie prima di tornare a lavorare come biologo marino proprio alle Maldive al Marhe Center di Magoodhoo situato nell’atollo di Faafu.
La situazione poi è cambiata e anche lui dovrà rientrare in Italia non appena guarito dal virus. Io invece peggioro…. e di brutto… sto male, ho febbre alta, sudo, non riesco a mangiare, sono apatico, tossisco spesso, manifesto episodi di vomito e di letargia: ho sonno, tanto sonno… è arrivata la polmonite!!

Sono le 4 di mattina del 20 marzo quando approdo nel reparto di terapia intensiva del nuovissimo Dharumavantha Hospital, il grattacielo di Male che sovrasta tutta la capitale. Vengo subito collegato alle macchine: elettrocardiogramma, pulsossimetro, misuratore di pressione che parte in automatico. Il tutto monitorato da uno schermo che posso vedere.

L’intubazione non è necessaria: gli episodi di dispnea e di mancanza di respiro per qualche secondo sono rari durante le giornate trascorse lì.

Da diligente istruttore subacqueo, riesco ad affrontare e debellare questi rari momenti come imparato durante il percorso formativo. Uno scanner test evidenzia i focolai di polmonite: fin da subito i medici egiziani che mi stanno curando, appartenenti all’Indira Ghandi Memorial Hospital (IGMH), mi imbottiscono di “pasticche”.

Le notti successive non riesco a dormire perché la bradicardia fa scendere a 38 battiti al minuto il cuore e mi sveglio di soprassalto con la macchina che lancia un sonoro allarme.

Poi, in un paio di giorni, la febbre sparisce completamente e, a seguire, due tamponi negativi, dopo la settimana vissuta in terapia intensiva, fanno si che venga traslocato di piano e di reparto per iniziare il periodo di quarantena e di cure sui residui della polmonite.

Mi sento stanco, spossato, ma contento di non sentire più quell’odore acre, indescrivibile, che ho accusato fin dal giorno della prima febbre. Si dice che durante il virus si perda gusto e olfatto. Io non ci avevo fatto caso ma quando mi è stato fatto notare effettivamente era così. Solo quell’odore, che sapeva di morte, ogni tanto entrava nel naso a zaffate.

Risolta la fase fisica del virus subentra quella psicologica. Sono tassativamente costretto a rimanere recluso in isolamento per altri 26 giorni dentro una stanza, con bagno annesso, lunga 8 metri e larga 4, respirando solo e ancora aria condizionata. Il 9 e 10 aprile mi rifanno di nuovo i tamponi.
Entrambi risultano nuovamente negativi.

Trascorro il tempo cercando di rimanere ottimista e tenermi su di morale: faccio stretching, cammino su e giù come un demente, ascolto musica rock, ballo la dance degli Anni ’80, studio inglese, guardo documentari sulla natura alla TV ma soprattutto chatto via WhatsApp con i numerosi amici che mi scrivono da casa e con alcuni di loro mi collego in videochiamata. Rimango in contatto con i compagni di vacanza conosciuti in barca. Anche loro stanno vivendo una personale Odissea bloccati in quarantena sull’isola di Villivaru. L’ambasciata di Colombo, nello Sri Lanka, sta seguendo tutte le nostre vicende cercando di sostenerci e si interfaccia con il MAE per quanto riesce a fare di propria competenza.

Il 21 di aprile un’ambulanza mi porta direttamente all’aeroporto Velana.
Qui ritrovo Alberto, dinamico capobarca che più di tutti si è dato da fare per risolvere al meglio i problemi che si venivano a creare; Andrea ed Elisa, sempre compagni di crociera, che essendo stati a contatto con dei positivi per più periodi, si sono dovuti sorbire ben tre quarantene.

Per fortuna il viaggio di ritorno, via Doha, Roma e poi Milano, va secondo i piani programmati e la notte del giorno dopo riesco finalmente ad arrivare, come Ulisse, alla mia “Itaca”.
Da protocollo, mi aspettano altri 14 giorni rinchiuso in casa fino al 5 maggio. Invece va diversamente: il 27 aprile un tampone eseguito all’Ospedale di Vicenza risulta indeterminato, né positivo, né negativo. Il SISP, il Servizio di Igiene Pubblica, mi sottopone ad altri due tamponi, uno il 4 maggio ed uno l’8 maggio.

La risposta finale arriva qualche giorno dopo. NEGATIVI. SONO LIBERO!!!

Mi ritornano in mente le parole di Omero e sorrido pensando a quello che ho passato in questi ultimi due mesi ma, affrontando la vita sempre con ottimismo, riesco per un attimo a lasciarmi il passato alle spalle e riprendere a fantasticare su possibili destinazioni future per il mio prossimo viaggio.