Il relitto delle “Bumme”: una ricerca esplosiva

Siracusa con i suoi fondali rappresenta un vero e proprio scrigno di tesori biologici, storici e archeologici, che i subacquei che frequentano queste acque ormai conoscono da anni e tornano a visitare ogni volta con rinnovato interesse.
Non per niente di questo mare era innamorato Enzo Maiorca, che di Mare se ne intendeva, e che lo ha frequentato con passione per tutta la vita e sino agli ultimi giorni. Quando ne parlava, nei suoi racconti un po’ storici un po’ poetici, non mancava mai di emozionarsi ed emozionare profondamente chi in quel momento aveva la fortuna di ascoltarlo. Grazie all’istituzione dell’Area Marina Protetta del Plemmirio e alla lotta per il contrasto del bracconaggio, portata avanti non solo dalle istituzioni, ma anche da enti noprofit come Sea Shepherd e da molti operatori appassionati del settore (associazioni, diving, ecc.), oggi i fondali di Siracusa godono di di buona salute e sono adeguatamente valorizzati. Tuttavia ancora molto c’è da scoprire e ancora grandi nuove emozioni questi fondali possono regalare ai subacquei.

Con questa convinzione dal 2015 ad oggi, al Capo Murro Diving Center ci siamo dedicati con anima e pinne, passione e perseveranza a cercare nuovi punti di immersione, caratterizzati da un valore storico aggiunto o un particolare contesto biologico. Nel far questo all’inizio siamo andati più o meno a caso, non lo neghiamo.
Poi di volta in volta abbiamo seguito racconti di vecchi subacquei, indicazioni di amici pescatori, intuizioni improbabili, congetture verosimili; qualche volta una piccola dose di fortuna ci è venuta in aiuto, più spesso una discreta serie di sfangate ha caratterizzato le nostre immersioni.

La cosa bella è che in ogni tuffo, comunque, qualcosa di interessante, magari inatteso, è saltato fuori e per questo siamo sempre usciti dall’acqua col sorriso stampato sul viso; il nostro barcaiolo di fiducia Ninny può testimoniarlo!
Incredibilmente, dopo ormai quasi quattro anni, il numero di rilevamenti effettuati non sono più dettagli isolati e casuali, ma cominciano ad incastrarsi magicamente ed inaspettatamente come tessere di un enorme, sconfinato puzzle, impossibile da completare, ma che di volta in volta restituisce storie ed eventi altrimenti dimenticati, e che riescono ad affascinarci e tenerci alzati sino a tardi la notte. Perché, si sa, ciò che vediamo sott’acqua è spesso solo ferro arrugginito e sassi concrezionati, ma all’asciutto, con una buona dose di fantasia, tanta fatica e ore interminabili di ricerca tra documenti, biografie, archivi, necrologi, ecc. diventa interessante e acquista un valore, anche solo emotivo.

È il caso delle vicende che ci hanno portato sul “relitto delle bumme”.

Alcuni pescatori di Ognina raccontano a Ninny, il nostro spacciatore di informazioni, che davanti a Siracusa a 101 m di profondità c’è un probabile relitto, dove con le reti spesso pescano ordigni bellici. Evento eccezionale, ci forniscono le coordinate del punto in questione. Coincidenza vuole che, più o meno contemporaneamente, un conoscente con “amicizie” importanti ci passa sottobanco un’immagine sulla quale ci chiede di mantenere il massimo riserbo. Si tratta di un tracciato side-scan sonar effettuato da… non possiamo dirlo. Come in questo caso, a volte si ricevono informazioni importanti ma per varie ragioni non si possono citare le fonti.
L’immagine era classificata da chi l’aveva acquisita come “relitto certo” ed era accompagnata da coordinate geografiche e indicazione della profondità: il punto è sospettosamente vicino a quello fornito dai pescatori e anche la profondità collima.

Con queste premesse era difficile tenere a bada l’immaginazione e, guardando e riguardando l’immagine, la fantasia, più che la vista, ci convince a riconoscere in alto a sinistra la sagoma della prua di un’imbarcazione. Ci spingiamo oltre nelle nostre congetture: la forma molto squadrata e, verosimilmente, stretta e lunga, ci fa ipotizzare che si tratti di un mezzo da sbarco, un Landing Craft Infantry (LCI), del tipo usato per il trasporto truppe durante lo sbarco degli alleati in Sicilia nel 1943.
Proviamo anche a fare un confronto grafico e il risultato, forse per effetto di una sorta di autosuggestione, ci appare sorprendentemente plausibile.

Effettuiamo come di rito numerosi passaggi con l’ecoscandaglio sul sito in esame e otteniamo risultati non molto significativi e anche contraddittori. Sul punto dei pescatori la profondità è 114 m e regna il piatto più assoluto. In corrispondenza del punto GPS ricevuto da quelli che noi chiamiamo “gli americani”, rileviamo una minima increspatura, compatibile con una piccola secca, difficilmente pensiamo possa corrispondere a manufatti di origine non naturale. Anche qui, intorno il fondale è praticamente piatto, con una leggera inclinazione verso il largo. Coincide, invece, l’indicazione della profondità. Decidiamo di scendere e controllare comunque questo segnale: altre volte in simili condizioni abbiamo avuto sorprese inaspettate.
Una discesa infinita lungo il pedagno ci fa atterrare nel fango, letteralmente. Buio pesto, niente che sia degno di rilievo: la piccola secca effettivamente c’è, ma attorno il paesaggio è decisamente lunare. Ci attardiamo sino al 17° minuto, muovendoci su cerchi concentrici per trovare non sappiamo bene cosa, poi decidiamo di rinunciare ed iniziare la lenta risalita.

La forte corrente ci spinge a nord per più di un miglio e mezzo, ma il nostro barcaiolo svolge efficientemente il suo lavoro e si fa trovare sopra le nostre teste al momento dell’emersione. Le lunghe elucubrazioni e l’autorevolezza della fonte dei nostri dati ci spingono però a non demordere, seppure l’idea di un’altra sfangata a 100 m non ci allettasse per niente. Qualcosa non torna, pensiamo.
In effetti quindici anni fa, all’epoca in cui fu acquisita l’immagine del side-scan sonar, le indicazioni GPS fornivano una accuratezza ben lontana da quella attuale dell’ordine del metro o poco più. Per questo dopo alcune settimane torniamo sul punto ed ampliamo il raggio di investigazione, finché entro un triangolo di 40- 50 m di lato, dopo insistenti ricerche, rileviamo una netta anomalia, che si alza di circa 5- 10 m dal fondale circostante, completamente piatto.

Eureka – esclamiamo soddisfatti – qualcosa qui c’è!

Nei giorni successivi ritorniamo a scandagliare, per confermare il rilevamento e, ormai convinti, decidiamo di ripetere la discesa su questo secondo punto.

Anche stavolta non otteniamo l’esito sperato, ovvero sul fondo non troviamo ad aspettarci l’agognato relitto. Il punto marcato dall’ecoscandaglio si rivela essere un piccolo ciglio che si alza dal fondale fangoso per una decina di metri scarsi.
Come si poteva facilmente prevedere, diciamo ora. Spesso accade così: quello che sull’ecoscandaglio appare bizzarro, perché caratterizzato da linee geometriche ben definite, in realtà è una semplice conformazione rocciosa, magari solo un po’ particolare.
Ma il ciglio ci riserva comunque una sorpresa inaspettata. Tutt’attorno nel fango e sopra il costone sono disseminate numerose casse, mezzo scassate, contenenti proiettili di grosso calibro, forse 105 mm.

Le bumme dei pescatori! – pensiamo.

Non tocchiamo niente. Si sa, in questi casi è molto pericoloso smuovere materiale esplosivo, anche se giace sott’acqua da diversi decenni.
Tornati in superficie riflettiamo a lungo su questa scoperta “esplosiva”. Battezziamo il sito “ciglio bossoli”, perché non è proprio un relitto, e lo cataloghiamo nell’archivio delle altre scoperte più o meno interessanti o stravaganti. Alla fine – diciamo – i pescatori hanno sempre ragione!
Un paio di mesi dopo, ci immergiamo nelle vicinanze del nuovo sito, alcune centinaia di metri verso terra, in direzione del Porto Grande di Siracusa, su un fondale di circa 64 m. Fortuna, coincidenza o destino vuole che ci imbattiamo di nuovo in un ritrovamento analogo: casse di proiettili di grosso calibro.
La coincidenza diventa interessante, quantomeno perché insolita e sorprendente. Ci riflettiamo, parliamo con amici esperti del campo, con conoscenti della Capitaneria e alla fine elaboriamo una nostra teoria che, potrebbe non essere esatta, ma risulta comunque molto verosimile.
Sappiamo che nel primo dopoguerra – parliamo del secondo conflitto mondiale – in alcuni dei porti principali delle città interessate dagli eventi militari, e qui Siracusa è ovviamente in cima alla lista, erano attivi servizi di smaltimento del materiale bellico accumulato durante il conflitto.

Si racconta anche che alcune bettoline di pescatori furono ingaggiate dalle autorità per andare a scaricare in mare il materiale da smaltire. Va considerato che dopo meno di due miglia, in direzione est dal Porto Grande, il fondale scende già oltre 200 m. Ma nelle ristrettezze economiche del dopoguerra anche il gasolio consumato per compiere solo 4-5 miglia, per il tragitto di andata e ritorno, doveva probabilmente sembrare un lusso da evitare ed i carichi potrebbero essere stati smaltiti molto prima, ad appena un miglio dalla costa.

Questo il racconto di una “non scoperta” o di una scoperta a metà, che ha portato alla luce un frammento di storia inatteso, diverso da quello che stavamo cercando.

Fatto sta che restiamo convinti tuttora che il “relitto” rilevato dal side-scan sonar sia ancora lì ad aspettarci.